1954. La dettatura della lettera diventa un classico della comicità italiana. Dopo Totò e Peppino è ripresa da Massimo Troisi e Roberto Benigni

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A distanza di anni, ancora oggi un mare di risate accompagnano alcune scene fra le più divertenti del cinema nostrano. La dettatura di una lettera è il denominatore comune, divenuto nel tempo un classico della comicità italiana. Andiamo a scoprire le tre scene più rappresentative.

Miseria è nobiltà

Era il 1954 quando nei cinema italiani usciva Miseria è nobiltà tratto dall’omonima commedia di Eduardo Scarpetta (1853-1925), con la regia di Mario Mattoli (1898-1980). Protagonista Felice Sciosciammocca (Antonio De Curtis, in arte Totò, 1898-1967), assieme a un gruppo di parenti e amici, tutti squattrinati.

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Lo scrivano

Felice Sciosciammocca, sbarca il lunario come scrivano sotto i portici del Teatro San Carlo nella Napoli del 1890.

Cultura minimale a reddito

Quel minimo di cultura in suo possesso la mette a disposizione degli analfabeti del posto, che gli commissionano a pagamento ogni tipo di lettera.

Giorno fortunato?

Don Felice si fa accompagnare a lavoro dal figlio Peppiniello (Franco Melidoni, 1946). L’incontro con un contadino cafone e soprattutto ignorante (Leo Brandi, 1894-1959), appare come la svolta della giornata.

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Caro Giuseppe compare nipote

L’uomo chiede allo scrivano di redigere la lettera  a un nipote, dal tradizionale incipit: Caro Giuseppe compare nipote… La discussione tra i due raggiunge l’apice della comicità quando il contadino lascia intendere di non avere il becco di un quattrino e Don Felice va su tutte le furie.

Totò, Peppino e la…malafemmina

La scena della lettera, tornò due anni dopo nella pellicola diretta da Camillo Mastrocinque (1901-1969) Totò, Peppino e la…malafemmina (1956). Nel film Totò e Peppino (Peppino De Filippo,1903-1980) sono i fratelli Capone.

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Il film è fra i meglio riusciti della coppia di comici napoletani.

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Viaggio a Milano

I Capone giungono a Milano per convincere Marisa Florian (Maria Luisa Mangini, in arte Dorian Gray, 1928-2011) a lasciare il loro nipote Gianni (Teddy Reno, 1926) con cui è fidanzata, rea di distrarlo dagli impegni di studente universitario.

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Veniamo con questa mia addirvi

I due decidono quindi di scriverle una lettera accompagnata da un’ingente somma di denaro. L’esordio è tutto da ridere: Signorina! Veniamo con questa mia addirvi. Addirvi una parola.

Scena cult

La scena è considerata un cult della filmografia italiana, impreziosita dalla capacità d’improvvisazione di Totò e Peppino che ne risalta l’indiscutibile genio. La lettera è scritta in un italiano approssimativo, divenuta manifesto dell’Italia semicolta (o semignorante) del primo dopoguerra.

Tutto improvvisato

Si racconta che buona parte di Totò, Peppino e la…malafemmina fu creata in tempo reale. La stessa scena della lettera esageratamente lunga venne tagliata, grazie all’accorgimento di alternare l’inquadratura dei due comici con quella della sorella Lucia (Vittoria Crispo, 1900-1973) in attesa nella stanza accanto.

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L’emulazione

Una scena così è stata oggetto negli anni a venire di numerosi tentativi di emulazione. Il meglio riuscito senza dubbio quello di Massimo Troisi (1953-1994) e Roberto Benigni (1952) in Non ci resta che piangere (1984), diretto da entrambi.

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1492 quasi 1500

I due, Saverio maestro elementare (Benigni) l’altro il bidello Mario (Troisi), sbalzati nel 1492 (quasi 1500, uno dei tanti tormentoni del film),  decidono di scrivere una lettera di supplica al frate Girolamo Savonarola (1452-1498) per chiedere la liberazione dell’amico Vitellozzo (Carlo Monni, 1943-2013).

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Errore storico

La scena, anche in questo caso del tutto improvvisata, è talmente divertente da far perdonare ai due comici l’errore storico. Nel 1492, infatti, Firenze e i suoi territori erano in mano ai Medici, mentre Savonarola sarebbe arrivato in seguito.

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Podcast

Qui per ascoltare il podcast dell’articolo. (E.M. per 70-80.it).

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