Formatisi in Francia nel 1974 su iniziativa del produttore Claude Lemoine (1944) i Les Rockets si pongono l’obiettivo di superare la tendenza del rock stile Led Zeppelin strizzando l’occhio alla disco elettronica.
Rockets
Il primo album dei Rockets è l’omonimo lavoro del 1976 che ha quale top track il brano Future Woman presente in due versioni (slow e disco).
Look spaziale
Già in quell’anno il loro look spaziale, argenteo e alieno, è completo: usano costumi in lamé di taglio fantascientifico, chitarre e bassi fatti costruire in forma di stella, sole o altri simboli arcani.
Il vocoder
L’uso del vocoder non è ancora arrivato ma le voci sono già fortemente elaborate in modo da sembrare provenienti da altri mondi. Negli spettacoli i Rockets fanno poi uso di fumi, luci e pirotecniche non comuni in gruppi di piccolo calibro.
Spacca Future Woman, ma non va male anche Apache
L’unico pezzo che va in air-play sulle radio è il sopracitato Future Woman, ma anche lo strumentale Apache, cover di un classico degli inglesi Shadows del 1962 si fa notare.
Poco oltre
Il resto dell’album è ricco di paesaggi sonori alieni ed anche rockeggianti, ma nessuno degli altri pezzi supera l’indifferenza.
Nuovamente sulla strada nel 1978
Il secondo album (1978) porta il nome del brano che a tutti gli effetti li lancerà nelle classifiche centro-europee: On the Road Again.
Canned Heat
La base è un vecchio pezzo dei Canned Heat, blues band del Sud degli USA, pezzo che i Rockets interpretano secondo il loro caratteristico stile.
Disco-psichedelico
Facendone un tormentone disco-psichedelico che vende un gran numero di copie ed è ballato in tutte le discoteche nell’estate 1978.
Stile omogeneo
Il resto dell’album è della stessa caratura; i pezzi sono omogenei tra loro sia in stile che in sonorità e mantengono, per così dire, l’atmosfera costante per tutta la durata dell’LP. Inoltre, la quantità e l’uso degli strumenti elettronici (vocoder, sintetizzatori ed effetti per chitarra) è dominante ed avveniristico.
Fabrice Quagliotti
Con questo album il tastierista Fabrice Quagliotti (1961) entra a fare parte della band.
Accomunati ai Kraftwerk
La contemporanea uscita di On the Road Again e di The Robots eseguita dal gruppo tedesco Kraftwerk (entrambi i pezzi facevano uso della voce modificata con il vocoder) ha fatto sì che i due gruppi venissero accomunati.
Stili differenti
Anche se il loro stile era a larghi tratti differente.
Rockets italiani
Nel 1978 i Rockets, si può dire, emigrano in Italia. Il produttore Maurizio Cannici (scomparso nel 2009), manager della CGD-Messaggerie Musicali, storica etichetta italiana, si innamora di loro dopo aver assistito a una loro esibizione in una discoteca di Cannes e riesce quasi a trapiantarli.
Più italiani che francesi
Con l’effetto che dall’estate 1978 in poi i Rockets saranno presenti in pianta stabile in Italia molto più di quanto non lo siano nella stessa Francia o nel resto d’Europa. L’operazione commerciale di Cannici sortisce ottimi risultati: i Rockets in Italia arrivano subito in TV partecipando a trasmissioni quali Stryx e Arrivano i mostri.
Vendite alle… stelle
Le vendite dei dischi, le presenze ai concerti e sulle riviste sono pari a quelle dei più grandi calibri della musica internazionale.
Plasteroid: il tripudio
Nel 1979 i Rockets pubblicano Plasteroid, unanimemente considerato il loro lavoro migliore e il più rappresentativo in senso globale. Le canzoni sono scritte quasi tutte a quattro mani: dal bassista Gerard L’Her (1952), che di solito le canta anche tutte e dal chitarrista Alain Maratrat (1956).
4 musicisti in simbiosi
Il loro successo è dovuto ad un mix di 4 musicisti ricercatori di suoni nuovi che lavorano in perfetta simbiosi insieme a Claude Lemoine. Il cantante Christian Le Bartz (1951) è sicuramente il frontman dal vivo e catalizza l’attenzione del pubblico interpretando le canzoni anche con le movenze sul palco.
L’Her
Anche se in realtà canta molto poco (solo alcuni interventi col vocoder e alcune strofe qua e là). La voce principale di tutti gli album dei Rockets dal ’77 all’85 è infatti del bassista Gerard L’Her.
Visioni del futuro
I testi, nella stragrande maggioranza, parlano di visioni di un mondo futuro, di possibilità tecnologiche e umane, di desiderio di altri mondi su cui ricominciare.
Leggeri?
Non ci sono testi d’amore, di introspezione, di denuncia, o altro; una ragione per la quale parte del pubblico li considera, in ogni caso, un gruppo “leggero”.
Strumentali
Un’altra nota va fatta sui numerosi brani strumentali presenti nei loro dischi. È raro che un gruppo di nascita rock si dilunghi in brani strumentali, a meno che non siano code o jam-sessions alla fine di brani cantati.
I dischi
I Rockets in 5 dischi ne inseriscono addirittura 8 (10 se non consideriamo alcune voci di sottofondo presenti in un paio di brani).
Galaxy: il lavoro culmine
All’alba del nuovo decennio (1980) i Rockets pubblicano il capolavoro del genere: Galaxy.
Galactica
Il quale contiene la trascinante Galactica contenuta nel loro lavoro-culmine, il concept album Galaxy molto ambizioso, in cui il gruppo riversa tutte le energie e potenzialità.
Podcast
Qui per ascoltare il podcast dell’articolo. (M.L. per 70-80.it)